Origini e prime avventure


Qualche passo indietro

Agli inizi del Novecento, lo scacchismo italiano era appena riemerso da una lunga nottata. Leonardo da Cutro e il Polerio, Gioacchino Greco e Paolo Boi, Salvio e Carrera erano morti e sepolti da secoli. Così come era appassita la splendida fioritura che fra il Sei e il Settecento aveva fatto di Torino e del Piemonte il centro riconosciuto della cultura scacchistica: anche solo di passata, è doveroso ricordare il saluzzese Horatio Gianutio, il torinese Francesco Piacenza, il casalese Carlo Cozio.
Ma anche i soli tramontano. Per un lungo secolo la penisola visse un volontario isolamento, in virtù del rifiuto di applicare le nuove regole del gioco, che in tutta Europa
si erano andate diffondendo già a partire dai tempi del reverendo Ruy Lopez. In Italia invece si restò tenacemente fedeli alle vecchie regole, che vennero poi codificate una volta per tutte nel 1769 dal popolarissimo trattato di Domenico Lorenzo Ponziani. Regole che prevedevano l’arrocco libero (con la facoltà di Re e Torre di occupare qualsiasi casa intermedia fra quelle di partenza), l’esclusione della presa en passant, il divieto di promuovere a pezzo esistente sulla scacchiera.
Così, la sfolgorante stagione degli scacchi nell’Ottocento europeo, lo sboccio dei grandi tornei e dei campioni leggendari, dovettero fare a meno di un adeguato contributo italiano (con l’eccezione, a onor del vero, di Serafino Dubois, ma questa è tutta un’altra storia). Occorse attendere il 1881, anno del terzo congresso e dell’annesso torneo nazionale a Milano, perchè fossero ufficialmente adottate le regole internazionali. E’ l’inizio dello scacchismo moderno in Italia, il primo passo di una sfiancante rincorsa nel tentativo, che sembra tuttora incompiuto, di recuperare pesanti ritardi storici.
Torino, in quel tempo, non poteva certo dirsi più avanti di altre piazze italiane. Neppure, in verità, molto più indietro. Le prime notizie sull’attività locale si trovano nel numero di gennaio-febbraio 1889 della “Nuova rivista degli scacchi”. Vi si parla ampiamente del Circolo scacchistico di “quella illustre città”, come cerimoniosamente si esprime l’anonimo autore. Il Circolo è presieduto nientemeno che dal generale Celestino Sachero, aiutante di campo del re Umberto I, ed è in procinto di cambiar sede: un fastidio che, come vedremo, occuperà i pensieri dei presidenti della Sst praticamente fino ai giorni nostri. La nuova sede fu allestita in via dell’Ospedale 12, al primo piano, e festosamente inaugurata il 20 gennaio. Per l’occasione si segnalò, in un piccolo torneo fra i presenti, il professore Vittorio Torre, socio e giocatore di punta del circolo, con una apprezzata partita giocata alla cieca. La serata inaugurale fu impreziosita da un elevato discorso, com’era costume e come ricorda la nostra fonte. A tenerlo fu il generale Sachero, che lodò appassionatamente “la nobile palestra degli scacchi” e concluse con un rispettoso e applaudito omaggio a S. A. R. il Duca d’Aosta, presidente onorario del Circolo, e a S. A. il Duca di Genova, socio onorario del medesimo. Seguì un sobrio rinfresco.


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Un’edizione del 1776
del celebre trattato del casalese Conte Cozio, pubblicato a Torino